Spiritualità e religione

Si conoscono due etimologie della parola “religione”. La prima è stata data da Cicerone nel 44 a.C. : religio viene da “relegere”, rileggere (il religioso è colui il cui atteggiamento è intelligente e misurato, in opposizione agli eccessi del superstizioso). La seconda etimologia è stata data da Lattanzio all’inizio del IV secolo: religio viene da religare, “unire”, la religione “unisce a Dio”.

Spiritualità viene dal latino spiritus (il soffio, lo spirito) e dunque designa ciò che è nell’ordine dello spirito, senza altri riferimenti. Ma cos’è lo spirito?

Nella Bibbia lo spirito, il soffio, emana da Dio: “Lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque” Genesi 1,2; “Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba” Giovanni 1,32. In seguito, con Paolo, lo spirituale è in opposizione al carnale “Il corpo è seminato corpo naturale e risuscita corpo spirituale” I Corinzi 15,44, ed è legato alla fede.

Così segue che naturalmente, per secoli, nell’Occidente cristiano, la spiritualità sia stata collegata alla religione. Lo spirituale era nelle mani della Chiesa. Oggi non è più il religioso che ingloba lo spirituale, ma il contrario. La religione è solamente una delle forme di espressione dello spirituale. Questo scivolamento si è prodotto nell’arco di qualche decennio. Due filosofi hanno pubblicato recentemente due libri che mostrano bene l’evoluzione attuale: Lo Spirito dell’ateismo. Introduzione a una spiritualità senza Dio (L’Esprit de l’athéisme. Introduction à une spiritualité sans Dieu) di André Comte-Sponville e La rivoluzione dell’amore. Per una spiritualità laica (La révolution de l’amour. Pour une spiritualité laïque) di Luc Ferry. Il primo conclude così: “È l’amore, non la speranza, che fa vivere; è la verità, non la fede, che libera. Noi siamo già nel Regno: l’eternità è ora.”

La spiritualità buddhista è un’altra espressione, non occidentale, che non fa riferimento a una relazione con un dio. Secondo Matthieu Ricard, interprete francese del Dalai Lama: “[Il Dalai Lama] molto attaccato alla nozione di spiritualità laica, dichiara che la religione è una scelta personale e che del resto la metà dell’umanità non ne pratica alcuna e che invece i valori di amore, di tolleranza, di compassione sostenuti dal buddhismo concernono tutti gli esseri umani, e coltivare questi valori non ha niente a che vedere con il fatto di essere credente o meno.”

La spiritualità è ricerca personale mentre la religione è il linguaggio simbolico di un gruppo sociale. Religione e spiritualità possono dunque benissimo incrociarsi senza incontrarsi.

Gilles Bourquin, pastore a Delémont, in Svizzera, presenta qui una riflessione su una spiritualità moderna, con o senza Dio.
La spiritualità alle prese con la modernità.  Ammettiamo che la nostra società ci assicuri un comfort sufficiente di cui ci possiamo pure accontentare: non soffriamo né di freddo né di malnutrizione; le nostre condizioni di lavoro sono in generale sopportabili, prestazioni mediche gratuite ci sono garantite in caso di bisogno, ci è permesso far valere i nostri diritti ed esprimere le nostre idee, al punto che la nostra società ci sembra avere raggiunto un grado di sviluppo in buona parte conforme alla dignità dell’uomo. Di questo successo del modo di vita occidentale, il cui irradiamento mondiale non è più da dimostrare, il retaggio greco e quello cristiano possono disputarsi la paternità.

Certo, qualche crepa appare qua e là nell’edificio della modernità, a cominciare da quei senzatetto che dormono sui nostri marciapiedi nel cuore dell’inverno. E se non rappresentassero che la parte visibile dell’iceberg? Anche, preferiamo evitare di immaginare le condizioni di lavoro delle donne e degli uomini che fabbricano i nostri beni di consumo più correnti: abiti, scarpe, veicoli, derrate alimentari etc. Sappiamo che queste condizioni sono spesso inferiori alle nostre norme europee, di modo che arriviamo a inquietarci di essere diventati, con il nostro lassismo, degli esportatori di sfruttamento. Proviamo ad allarmarci facendo a gara a ripetere che la temperatura del globo aumenta, ma anche questo, per adesso, modifica pochissimo il nostro stile di vita.
La modernità: un passaggio obbligato con un bilancio perfettibile Il suo successo, la modernità occidentale lo deve all’emergere di un valore che all’origine è potuto parere regressivo: quello dell’individuo. Durante il Rinascimento, cinque secoli fa, la piramide ha cominciato a capovolgersi quando, contro ogni logica, l’individuo è apparso più grande della società e più importante della storia. Gli sconvolgimenti interni alla Chiesa sono stati complici con quel vasto processo che si chiama umanesimo, senza che sia agevole dire in quale misura essi ne furono la causa o la conseguenza. Già nel XV secolo la Chiesa aveva avuto numerosi capi nel corso del Grande Scisma, ma era restata unita, mentre con la Riforma, che il Papato non riuscì a riassorbire, ci furono due verità inconciliabili nel mondo cristiano occidentale. Di qua, attraverso interminabili dispute e altre guerre di religione, derivò progressivamente l’idea che non c’erano solamente due verità nella Chiesa, ma tante verità quanti erano i credenti. L’affermazione individualista di Lutero, secondo la quale ogni cristiano è Papa, aveva introdotto questa idea. Era diventato più importante che ciascuno potesse esprimere le sue credenze come desiderava, piuttosto che fosse preservata l’unità visibile della Chiesa.

Non si trattava che della prima fase di decostruzione della cristianità medievale. La seconda, altrettanto importante, contrassegnò il secolo dei Lumi, quando si dovette ammettere che lo spazio della Chiesa non era più equivalente a quello della società. Fece la sua apparizione un ambito laico, all’interno del quale si era autorizzati a vivere e pensare indipendentemente da ogni direttiva di Chiesa. Non solamente l’individuo era ormai libero di credere alla sua maniera, ma si vedeva riconoscere una zona d’intimità nei confronti della quale la società stessa esercitava un dovere di riserva: la sfera privata.

I due secoli che seguirono fino ad oggi portarono alla luce un insieme di problemi inattesi legati alle nuove libertà secolari. Nel XIX secolo lo spirito razionale dei Lumi si tradusse in una industrializzazione rapidissima che rese un grande numero di individui schiavi del lavoro, senza parlare del colonialismo e delle sue conseguenze planetarie. Il XX secolo confermò che nuove forme di alienazione economiche, politiche o ideologiche potevano compromettere la libertà individuale sostituendosi in qualche modo all’antico potere religioso. Una delle scoperte più significative per il nostro discorso fu forse quella della psicanalisi, alla svolta del XX secolo, che mise in luce il fatto che non è sufficiente liberare l’individuo dai vincoli esteriori (politici, religiosi etc.) perché si senta libero interiormente. Un’alienazione personale, di ordine psichico o spirituale, era dunque in grado di compromettere la fioritura di un individuo socialmente libero. L’umanesimo si rivelava più complesso del previsto e l’individualismo non vi apportava nessuna soluzione definitiva.

Il progetto individualista ha in effetti l’inconveniente di coinvolgere l’individuo in un’impresa di realizzazione di sé che esige che ci si consacri a sé e che lascia una disponibilità limitata per gli altri, in energia e tempo. Questa priorità di principio accordata a sé ha per effetto di rendere più fragili tutti i sistemi relazionali nei quali gli individui sono chiamati a vivere, rischiando di isolare ciascuno nella sua bolla personale. Così la coppia, la famiglia, la comunità, la società e per finire l’intero ecosistema finiscono per fare le spese di questa autoconcentrazione caratteristica dell’uomo moderno. Si tratta qui di capire bene che l’egoismo, nella modernità, non è compreso adeguatamente se lo si considera esclusivamente come difetto di carattere, si tratta quasi di un dovere implicitamente riconosciuto, o, in ogni caso, di un tratto culturale per così dire inevitabile.

Si può andare avanti con il ragionamento fino a riconoscere che l’individualismo, rafforzando la volontà di indipendenza dell’uomo e della donna, ha finito per colpire il desiderio di procreare (che è un atto altruista) al punto di intaccare il rinnovo delle generazioni nelle società occidentali. Con la media europea vicina attualmente ai 1,5 bambini per donna, la popolazione indigena decresce. Sarebbe a dire che l’individualismo, se spinto alle estreme conseguenze, diviene un progetto invivibile, sterile, una prigione totale, al punto che certi hanno voluto vedervi il segno della decadenza della nostra civiltà.

Una visione così unilateralmente negativa della modernità non mi sembra tuttavia giustificata. Al di là del fatto che la regolazione delle nascite diventa una questione di sopravvivenza su un pianeta sovrappopolato, le acquisizioni della libertà individuale, politica e religiosa, concretizzate nella legislazione dei diritti dell’Uomo, non autorizzano, a mio avviso, un ritorno al passato. Anche se il suo bilancio resta discutibile, la modernità costituisce un passaggio obbligato, di modo che noi sperimentiamo questo paradosso tra la necessità radicale di essere individualisti, sul piano delle libertà, e la necessità altrettanto radicale di non esserlo, sul piano di una apertura agli altri e di un dono di sé che ostacolano ciò che vi è di perverso in questa volontà sfrenata di soddisfare tutti i desideri dell’individuo.

Così, malgrado i progressi realizzati e le acquisizioni irreversibili, le diverse imperfezioni della modernità ci impediscono di identificare la nostra epoca con la realizzazione dell’Uomo o con la fine della storia, meno ancora con l’instaurazione del Regno di Dio sulla terra. Contrariamente a una tentazione segreta e ricorrente dell’umanesimo, l’uomo moderno non è divinizzato, né Dio umanizzato nell’uomo moderno, secondo la massima di umiltà affermata dal profeta Ezechiele: “Tu sarai uomo e non Dio !” (Ezechiele 28,2 ; 28,9). Bisogna quindi che restiamo aperti ad altre possibilità, a nuove prospettive che, per compensazione di un deficit, vanno nel senso di una crescente convalida dei legami che l’individuo tesse con i suoi simili, con l’universo e con la trascendenza, senza tuttavia contravvenire alla dignità dell’uomo affermata nella libertà di coscienza.
Da un regime di religione a un regime di spiritualità Nel Medioevo la spiritualità individuale si viveva all’interno della cornice della religione che si presentava come civiltà cristiana, nella quale questa spiritualità godeva anche di una certa libertà che diede origine ai diversi ordini monastici, ciascuno caratterizzato da regole di vita e di vocazione differenti. Questo regime di cristianità, nella sua propria ricchezza spirituale, supponeva un ambiente culturale abbastanza omogeneo. Non sopravvisse alla nuova complessità geopolitica e culturale del Rinascimento, quando le scoperte scientifiche cominciarono a modificare le concezioni dell’uomo e del cosmo.

Nel contesto ecclesiale, fin dal tramonto del Medioevo, i primi individualisti furono i mistici, poiché pretendevano di avere accesso all’unione con Cristo nell’intimità della loro fede, indipendentemente della comunione della messa controllata dalla gerarchia ecclesiastica. Questa rivendicazione mistica, in apparenza insignificante perché ancora tutta interna al mondo religioso, doveva servire da chiave di volta a ulteriori rivendicazioni. Ciò che in effetti era prioritario agli occhi dei mistici era il culto interiore, personale, quello che un individuo offre attraverso la qualità spirituale della sua propria vita, e non il culto esteriore, comunitario, celebrato dalla Chiesa, che offre sempre e solo una salvezza per procura. La rivoluzione culturale della modernità era in germe in questa rivendicazione.

Nei fatti, a questa prima esigenza di una vita spirituale personalizzata all’interno del sistema di credenze del cristianesimo, seguì progressivamente un’esigenza più ambiziosa, che consisteva nello scindere la spiritualità individuale dai suoi riferimenti alle credenze, alle pratiche, all’autorità e all’istituzione della Chiesa. Era nata la spiritualità autonoma, in quanto disposizione propria di un individuo, legata alla sua maniera di considerare la sua esistenza nel cosmo. Una tale spiritualità privata, si capisce, presupponeva l’esistenza di uno spazio sociale laico e ne costituiva il pendant sul piano personale. Così, la nozione di spiritualità arrivò a sganciarsi da quella di religione, e ci si domandò se una spiritualità non religiosa potesse esistere.

Per rispondere a questa domanda bisogna chiedersi se questo decentramento della religione comunitaria in favore della spiritualità personale non si avvicini già al cuore del messaggio del Nuovo Testamento. Gesù non ha forse abolito i sacrifici rituali effettuati dai sacerdoti per rimpiazzarli con un invito indirizzato a ciascuno/a di seguirlo in un gesto di offerta della propria persona? Se questo è il caso, come sembra indicare l’epistola agli Ebrei (10,9), è allora pertinente affermare, con Marcel Gauchet, che il cristianesimo è “la religione dell’uscita dalla religione” e che Gesù è il vero precursore della spiritualità moderna.

In questo senso, alcuni teologi non esitano a chiedersi se Gesù abbia mai desiderato gli edifici e le celebrazioni religiose che gli consacriamo, o non abbia aspirato a un culto spirituale reso a Dio da parte di ognuno, in ogni luogo e in ogni tempo, “in spirito e verità” (Giovanni 4,24) ma senza Chiesa visibile.

Ora, bisogna riconoscere che tale soluzione, fantastica a pensarla, rimane nel regno dell’ideale. Nella pratica, si constata che nessun individuo è in grado di ricostruire da se stesso un bagaglio spirituale equivalente a quello trasmesso dalle tradizioni religiose come il cristianesimo, l’islam o il buddhismo, le quali occupano degli edifici, praticano delle celebrazioni e trasmettono degli insegnamenti. Anche quando i liberi pensatori pretendono di costruire la loro spiritualità in totale autonomia in realtà assemblano degli elementi preesistenti veicolati dalle culture filosofiche e religiose. In sociologia non si parla per così dire mai di identità religiose inventate, ma piuttosto di bricolage religiosi e di sincretismi.

Veniamo così a stilare un primo bilancio per cui la spiritualità come la viviamo oggi è il risultato di una doppia risposta. La prima è una risposta forte all’autorità religiosa come era concepita prima dell’epoca moderna, che impediva all’individuo di scegliere liberamente la propria religione. La seconda è una risposta dolce alla separazione moderna tra la sfera laica e la sfera religiosa, nella misura in cui abbiamo di nuovo l’impressione che la religione, per essere autentica, non può essere accantonata in un settore particolare della nostra vita ma deve segnare il nostro quotidiano. In altri termini, la religione non ha senso per noi se non la facciamo nostra, se non arriviamo a integrarla nel nostro vissuto perché divenga la sua saggezza, il suo senso e il suo valore.

Dal Medioevo a oggi né la religione né la spiritualità sono quindi scomparse, ma i loro ruoli si sono per così dire invertiti. Prima, la religione stabilita serviva da fondamento alla spiritualità, si trattava di un fattore universale della vita sociale e ogni individuo vi era integrato d’ufficio, mentre oggi è l’atto di interrogarsi individuale che è la regola e le diverse tradizioni religiose servono tutt’al più da palliativo a questo cammino. L’individuo moderno, anche quando lo desidera, non aderisce più facilmente a una verità di fede semplicemente perché un’autorità religiosa la professa, poiché sa troppo bene che altre autorità professano cose diverse. Il criterio della verità religiosa non può più essere la sottomissione a un’autorità, ma passa attraverso la prova dell’esperienza e della meditazione personali, e quindi attraverso la spiritualità, giustamente.
L’idea di Dio sopravviverà alla spiritualità moderna?L’abbiamo detto, l’autorità dell’individuo ha finito per avere la meglio su quella dell’istituzione, la spiritualità ha rimpiazzato la religione, ma non arriverà un giorno a rimpiazzare anche Dio? In altri termini, l’idea di Dio non rappresenta forse l’ultimo bastione, l’ultima autorità, la più alta e la più disturbante, suscettibile di ostacolare il libero sviluppo della spiritualità personale? L’uomo moderno, nel suo individualismo, sembra essere impegnato nell’ultimo combattimento, quello della negazione di Dio che sta di fronte a lui. Più l’uomo moderno afferma con insistenza la sua autonomia, meno resta spazio per un vis-à-vis. Abbiamo visto questo sul piano delle relazioni umane, nella coppia, lo constatiamo ora sul piano spirituale.

Si può anche rigirare il ragionamento e domandarsi se una spiritualità senza Dio è ancora una spiritualità o non sia piuttosto uno sviluppo personale sul piano psicologico ed esistenziale. In realtà l’alternativa non è così drastica, e numerose concezioni di Dio sviluppate durante la modernità hanno giustamente cercato di sminuire l’esteriorità di Dio, questa autorità che ci tiene testa, rendendo Dio più umano, più vicino all’interiorità dell’uomo. Quando questo tentativo è spinto alle estreme conseguenze, come propose Georg Simmel un secolo fa, Dio si identifica con l’essenza della nostra anima, di modo che non differisce più in nulla dall’uomo. Si intuisce che questo pensiero affonda le radici nella mistica cristiana, ma giunti a questo punto ci si domanda che cosa questo discorso su Dio possa ancora darci di più di quello che già siamo. In effetti, secondo Georg Simmel, più nessuna religione storica, più nessuna Scrittura, più nessuna salvezza esteriore è necessaria, poiché Dio non è altro che la nostra natura intima.

All’opposto di questa concezione di un Dio interno alla natura umana, si trova il protestantesimo dei Riformatori, che insistettero sul fatto che l’uomo, da se stesso, non arriva a trovare il cammino della salvezza, troppo smarrito egli è tra tutte le tentazioni e le altre illusioni ingannevoli che si agitano nella sua anima. Ai loro occhi, pretendere di avere naturalmente Dio dentro di sé sarebbe puro orgoglio, anche se il loro pensiero si concentrava sul fatto che Dio ci accorda il suo Spirito per pura grazia, fintanto che ci rimettiamo a Cristo nella fede. Ecco come il protestantesimo articola la religione e la spiritualità: per conoscere il Cristo abbiamo bisogno della Chiesa che ci trasmette il suo messaggio (religione), e attraverso la fede riceviamo lo Spirito che ci rende intimi di Dio (spiritualità), cosa che permette a Lutero di affermare che ogni cristiano è Papa.

E allora? Dobbiamo optare per il Dio tutto interiore di Simmel o per il Dio esteriore dei Riformatori, che ci accorda il suo Spirito? Beh, un equilibrio dei due ! Il protestantesimo ha talvolta troppo insistito sull’autorità della dottrina, sulle confessioni di fede, in breve, sul Dio esteriore, al punto che le chiese si sono svuotate e la gente non capisce più bene il senso che questa religione può avere per la sua vita. All’opposto, il Dio di Simmel mi pare troppo identico all’umano. Trasformato in filosofia umanista non è più in grado di sorprendermi, di visitarmi: Abramo e Sara, in età avanzata, ricevettero la visita di tre uomini che annunciarono loro una discendenza (si può interpretare: un senso alla loro vita). Da molto tempo avevano cessato di crederci e Sara non può trattenere una risata. Improvvisamente impaurita, sentendosi scoperta a deridere, tentò di negare, ma l’angelo le replicò: “Invece hai riso !”. ( Secondo Genesi 18,1-15)

Appaiono qui, nella sintesi di questo breve passaggio della Scrittura, gli aspetti necessari di una spiritualità viva e arricchente: prima di tutto ci vuole una certa esteriorità, un Dio che arriva all’improvviso, che mi sorprende con una promessa insperata e che non esita a farmi confrontare con me stesso, a sottolineare le mie contraddizioni. Ora, si capisce bene che questa esteriorità deve essere tutta interiore, bisogna che Dio mi raggiunga, parlandomi di cose che mi riguardano, di argomenti intimi, essenziali per la mia vita. La spiritualità è sempre così: l’incontro, la congiunzione di una realtà interiore e di un fatto esteriore, in altri termini, una relazione tra il piano dell’immanenza e quello della trascendenza.

Certo, la tradizione protestante ha troppo isolato la teologia dall’umano, qualche cosa si rappresenta nel faccia a faccia irriducibile tra l’uomo e Dio. Il Signore cerca Adamo nel giardino, ma Adamo si nasconde perché si sa nudo davanti a Dio (Genesi 3,10). Al fine di conservare la dinamica della spiritualità mi pare necessario preservare l’alterità di Dio dal suo completo riassorbimento nell’identità umana. È vero che non si esce indenni dal confronto con Dio: nella sua lotta con l’angelo Giacobbe ebbe la meglio ma rimase menomato al tallone (Genesi 32,23-33). Il Dio della Bibbia ci trasforma, ci rimette in discussione, ci aiuta a vedere, a riconoscere, a diventare chi siamo.

L’effetto dell’incontro con Dio, quando lo si considera dal punto di vista della spiritualità moderna come l’abbiamo definita precedentemente, non è tanto la scoperta di una dottrina, esso si edifica da se stesso nella misura in cui l’incontro ha luogo. Non si tratta neppure di ricevere delle soluzioni già pronte ai nostri problemi, che potrebbero inscriversi in un’etica universale. L’effetto dell’esperienza spirituale è piuttosto quello di lasciarci impressionare dalla grandezza di Dio, non come se l’avessimo visto direttamente, ma perché questo incontro ci ha fatto scoprire un certo numero di verità su noi stessi che non sapremmo negare facilmente, tanto ci riguardano da vicino, senza che dobbiamo per forza essere in grado di esprimerle, e meno ancora di dimostrare che la loro scoperta è l’effetto della visita di Dio, anche se noi lo crediamo intimamente.

Così, la spiritualità merita il suo nome, si tratta di un vissuto al tempo stesso essenziale e profondamente volatile. Al limite o al di qua dell’esperienza sensibile, si potrebbe anche concludere che non è successo niente, che è stato tutto pura immaginazione, e si ricade sulla terra. Solo la fede, quella che crede senza vedere, raccoglie questo vissuto e cerca di nutrirsene.
Un faccia a faccia che stabilisce un’alleanzaL’individualismo moderno permette all’uomo di essere se stesso, cosa che diventa perfino la sua più alta esigenza. Secondo l’affermazione dei Lumi, io non potrei, per pigrizia, contentarmi di imitare il mio prossimo senza fare uso del mio proprio intendimento (Immanuel Kant Risposta alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo?). Così, la libertà è intesa come il più nobile dei doveri, ma questa libertà rischia anche di rinchiudermi se, come Narciso, mi limito a contemplare la mia immagine. Il riconoscimento di un faccia a faccia, di un Tu, tanto sul piano umano che su quello divino, diviene così il controvalore necessario al riconoscimento dell’Io. D’altronde, psicologicamente, non c’è nascita possibile del soggetto senza la presa di coscienza di una realtà esteriore che non posso assimilare.

Ora, la figura di Dio è troppo elevata, troppo inafferrabile per costituire un autentico faccia a faccia, una scambio a misura d’uomo. La figura di Cristo, che rappresenta l’umanità attraverso una singola persona, Gesù di Nazareth, si offre a noi come faccia a faccia reale perché la relazione con Dio prenda corpo. Così, il Figlio non ci chiama più servi, ma amici, perché condividiamo il suo compito, e ci introduce nell’intimità del Padre (Giovanni 15,15).

L’Io e il Tu danno così vita al Noi, tanto sul piano verticale che su quello orizzontale: una stessa realtà di alleanza, di matrimonio, esprime la vita spirituale e l’unione coniugale. Appare così che la spiritualità, contrariamente a quanto si è a lungo creduto, non può portare lo sguardo verso il cielo senza inglobare anche lo sguardo verso la terra. Essa concerne tanto il corpo quanto lo spirito, l’essere al mondo che l’essere a Dio. Di più, se l’alleanza spirituale è per definizione duratura, in ragione dell’Eternità di Colui che ne è il garante, la spiritualità estende questa vocazione a persistere su tutte le alleanze che si stringono sulla terra.

Così il pensiero ecologico riscopre attualmente con forza la necessità di vivere sulla terra in una prospettiva a lungo termine, che tenga conto delle generazioni future. Il Noi che bisogna considerare non è più solamente quello dell’umanità presente, ma si estende alle donne e agli uomini che popoleranno la terra dopo la nostra morte. Come ha mostrato Hans Jonas, c’è, nel movimento ecologico, l’appello a una presa di coscienza che la storia va avanti, che la nostra modernità non ne costituisce né l’interruzione né il termine.

Per finire, facciamo notare che la stessa riflessione può essere applicata alla scala delle relazioni famigliari; si tratta egualmente, a mio avviso, di augurarsele più durature, meno suscettibili di smembramenti troppo frequenti, che danno luogo a traiettorie affettive sempre più irregolari. Sfortunatamente tale discorso cade attualmente quasi nel vuoto nella nostra società. Come ha sottolineato Olivier Abel il motivo della fedeltà di coppia mi pare riguardare , in parallelo a quanto abbiamo detto sull’ecologia, tanto il benessere della generazione presente, quella dei genitori, quanto quello della generazione che segue, quella dei figli. Se la necessità di perseverare nella vita comune è prima di tutto legata al fatto che l’intimità di coppia richiede tempo per maturare, è anche legata a una responsabilità dei genitori verso i figli, che innegabilmente soffrono della loro instabilità, dei cambiamenti di domicilio e di affetti multipli, incerti, cangianti.

Per noi, l’apprendimento di una responsabilità conforme al senso della vita consiste in questo: preservare l’individuo dallo sfruttamento altrui, certo, in prima linea e ovunque nel mondo, ma anche preservarlo da se stesso aprendolo a nuove alleanze, con un congiunto, una figliolanza, una famiglia, una comunità, una collettività, un ecosistema, tanti spazi di finitezza che non riescono a esaurire la Vita. È l’apprendimento di un dialogo con la differenza dell’altro, la gestione di una distanza che mi urta e mi arricchisce, che costituisce la più grande difficoltà e la più grande fonte di maturità. Queste conversazioni trasversali suppongono in effetti una capacità di allearsi con il tempo, di accettare la distanza tra il desiderio e la sua soddisfazione, il progetto e la sua realizzazione, distanza che si chiama perseveranza e fedeltà, esame della Vita.

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