La predestinazione è una teoria secondo la quale la salvezza dell’uomo sarebbe decisa da Dio prima ancora della sua nascita. È la lettura cristiana che ha forgiato questo termine altamente speculativo a partire dal verbo “determinare in anticipo”, che appare (poco) nella letteratura paolina. I fondamenti biblici sono d’altra parte esili e discutibili.
Sant’Agostino ha sviluppato questo tema all’epoca della sua controversia con il monaco Pelagio. La sua preoccupazione era di preservare la preminenza della grazia divina sui meriti umani.
La predestinazione è un tema pericoloso per il pensiero cristiano. Spinta all’estremo, essa entra in conflitto con la libertà umana e l’universalità della promessa divina.
Calvino dal canto suo ha inventato la doppia predestinazione, secondo la quale “Dio elegge nel suo consiglio segreto chi gli pare bene e rigetta gli altri”. È una lettura deliberatamente esagerata della nozione di elezione. Mentre la Torah mette l’accento sulla responsabilità di un popolo incaricato di diffondere all’insieme dell’umanità il messaggio universale del Dio unico, Calvino forza la mano stabilendo una divisione tra salvati e dannati, riconoscendo tuttavia che questo conduce a un “labirinto incomprensibile”.
Con questo il riformatore voleva ribadire che la salvezza non ha che una sola fonte, Dio. La salvezza non è in alcun caso il risultato di una cooperazione tra l’uomo e Dio. Conta solo il segreto ammirabile di Dio, espressione della sua trascendenza impenetrabile. Egli porta agli eletti un amore gratuito, che non si spiega. Dio ama perché ama, condanna perché condanna, sceglie perché sceglie. È la sua decisione sovrana, inaccessibile all’intelligenza umana.
Per capire, bisogna ricordare che la doppia predestinazione è una macchina da guerra diretta a un tempo contro la Chiesa cattolica e contro l’ottimismo della corrente umanista. Oggi appare datata perché legata ai conflitti del XVI secolo. Nei fatti si è rivelata un’arma ideologica efficace, che non porta affatto alla disperazione, poiché il fedele calvinista ha la certezza di appartenere agli eletti.
Resta da sapere se la predestinazione, semplice o doppia, possa ancora essere predicata ai giorni nostri, come è il caso di certi circoli ultracalvinisti in Olanda o negli Stati Uniti. La risposta è chiaramente negativa, per due ragioni. La prima è che la Bibbia esalta la libertà. Israele vede nel motivo dell’uscita dall’Egitto il marchio del divino. La Legge che riceve nel deserto consacra l’accesso dell’uomo alla libertà, poiché chi dice Legge dice responsabilità. Secondo un proverbio hassidico “Bisogna che ogni giorno un uomo esca dall’Egitto”.
La figura di Gesù si situa nella stessa linea. È colui che guarisce i malati, dona la vista ai ciechi, fa rivivere i morti, perdona ai peccatori e libera l’uomo dalle sue servitù interiori. Egli incarna la libertà fino al dono volontario della propria vita.
La seconda è che l’intuizione finale dell’apostolo Paolo resta quella della salvezza universale. Come ha dimostrato Alain Badiou in alcune pagine penetranti “l’inferno, i nemici messi sul girarrosto, non interessano a Paolo […] Per lui è capitale dichiarare che sono giustificato solo nell’esatta misura in cui tutti lo sono”. (Saint Paul, la Fondation de l’Universalisme, 1997).
Bisogna abbandonare la predestinazione in favore della vocazione.
Si può ammettere che alcuni si sentano misteriosamente “chiamati” ad essere dei segni per gli altri, nella stessa maniera in cui nel Primo Testamento un popolo particolare si sente “chiamato” a vivere l’universale che gli arriva come una grazia particolare. Cosa che non crea alcun privilegio.
Allo stesso modo, alcuni hanno coscienza della dimensione di profondità della vita e altri no. Si potrebbe tradurre con: alcuni hanno la fede e altri no. Nessuna divisione qui tra “salvati” e “perduti”. Penso piuttosto a una sorta di risveglio, di ampliamento della coscienza, lo sguardo speciale del pittore che dipinge per lo sguardo degli altri.
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