Questi ultimi non si offesero davanti a una simile domanda e non riferirono la risposta classica dell’islam su questo punto: le Scritture degli ebrei e dei cristiani non sono che alterazioni del Corano eterno, o dei modi scorretti di riportarlo, e la rivelazione del Corano era necessaria per rimettere le cose a posto. Probabilmente per delicatezza, ma forse anche per convinzione personale, non hanno fatta propria questa risposta, cosa che ha evitato di ferire gli interlocutori cristiani. Uno dei loro portavoce ha semplicemente ammesso, con un sorriso, che non ne sapeva nulla, e che si sarebbe dovuto porre la questione a Dio stesso. Pertinente per i credenti di tutte le confessioni, questa risposta ha lasciato i presenti a bocca aperta. Un secondo musulmano, tuttavia, ha giudicato di non doversi fermare lì. Ha spiegato la necessità della rivelazione di Maometto dicendo che le rivelazioni precedenti (quella di Abramo, dei patriarchi, dei profeti, di Gesù) non erano complete; ha affermato che, al contrario, con il Corano la rivelazione è ora non solo completa, ma definitiva: non ce ne saranno altre, nessuna rivelazione supplementare sarà ancora necessaria.
Due teologi cristiani, nella circostanza protestanti, hanno giudicato di non potersi fermare lì. Affabili come erano appena stati i loro interlocutori musulmani, hanno brevemente fatto osservare, l’uno che nessuna religione può mai essere considerata come definitiva, almeno nella sua forma umana; l’altro che, come dice l’epistola agli Ebrei (11,13), noi siamo “pellegrini e viaggiatori sulla terra”, che la nostra religione, ovvero le forme e le credenze nelle quali si esprime la nostra fede, assomiglia ad un accampamento di nomadi, costantemente obbligati come siamo di adattarci alle circostanze. Considerato sotto questa angolatura, il cristianesimo di oggi non assomiglia come un gemello, né lo può essere, a quello dei tempi apostolici o dei secoli che ci hanno preceduto, per esempio al cristianesimo della Riforma.
Per mancanza di tempo, anche per tema di urtare i loro interlocutori musulmani con dei discorsi suscettibili di essere mal compresi, i due oratori cristiani hanno prudentemente passato sotto silenzio una questione più fondamentale e più decisiva: che ne è allora della rivelazione di cui questa religione cristiana sempre in cammino è tenuta a rendere conto? È definitiva o ce ne saranno eventualmente altre?
Il cristianesimo, religione “assoluta”?A questa questione i teologi del XIX secolo hanno pensato di poter rispondere affermando che il cristianesimo è “la religione assoluta”, espressione con la quale bisogna intendere non solamente che essa supera tutte le altre, ma anche che deve essere considerata come l’esito insuperabile di tutte quelle che l’hanno preceduta. Il teologo francese August Sabatier (1849-1901) l’ha espresso nel 1897 in una forma immaginosa che, sul momento, ha sedotto parecchi lettori: “Da qualsiasi parte si penetri nella storia delle religioni e in qualsiasi senso la si percorra, si vedono le vie salire lentamente da valli oscure, avvicinarsi le une alle altre e tendere al cristianesimo come a un altro Monte Bianco, ultima e luminosa cima da cui l’ordine e la luce si spandono su tutto il mondo. O l’evoluzione religiosa non ha né senso né scopo, oppure bisogna riconoscere che essa ha come compimento l’Evangelo di Cristo, il suo termine supremo.”
Ma questo modo di porre il problema e di risolverlo è così convincente come molti lettori pensavano all’epoca? Mischia curiosamente un’affermazione di fede (il cristianesimo è la religione definitiva) e un approccio comparativo (esso supera tutte le altre religioni conosciute). Il teologo liberale Ernst Troeltsch, professore a Heidelberg, vide bene questo difetto della corazza e, prendendosela in realtà con Adolf Harnack, lo denunciò cinque anni più tardi, nel 1902, in un opuscolo intitolato “L’assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni”: il cristianesimo non è che una religione tra le altre, bisogna rassegnarsi a questo, e non ci si può più contentare di dedurre la sua superiorità, o addirittura la sua origine divina, sulla base di una fede aprioristica e dottrinale sottratta di fatto a ogni discussione.
Conoscendo sempre meglio cosa sono e cosa insegnano le altre religioni, ci si deve piuttosto domandare in cosa risiede la particolarità della fede cristiana, in cosa il riferimento alla persona e al messaggio di Gesù la distingue dagli altri tipi di fede, e quali conseguenze devono tirare i cristiani nel loro atteggiamento verso le altre religioni. Detto altrimenti, se si vuole comparare, che ci si dedichi effettivamente alla comparazione, dato che il cristianesimo non può né deve più sottrarsi a questa esigenza comparativa.
Evidentemente, alcuni non hanno mancato di gridare al relativismo. Per sfuggirvi, hanno creduto di poter evitare il fatto stesso della comparazione. È quello che è accaduto grosso modo sulla scia di Karl Barth, postulando che il cristianesimo non è, giustamente, una religione, ma una “fede” che mette fine alle illusioni che mantengono le diverse religioni del mondo. Più recentemente alcuni non hanno esitato a prendere a prestito a Marcel Gauchet e al suo libro sul “Disincanto del mondo” (1985) la formula secondo la quale il cristianesimo sarebbe “la religione dell’uscita dalla religione”. Ma mentre questo saggista vi vede una religione animata potenzialmente della dinamica di secolarizzazione che caratterizza attualmente la società occidentale, nei fatti, essenzialmente, la società francese, essi partono apparentemente dall’idea che, con questa “uscita” dalla religione, il cristianesimo metterebbe effettivamente fine a ogni religione possibile e renderebbe di conseguenze superflua ogni nuova rivelazione.
Una sola o più rivelazioni?La maggior parte de musulmani aderisce ad una argomentazione dello stesso tipo: essendo l’islam la sola religione veramente conforme alla volontà di Dio, non può essere messo sullo stesso piano degli altri credi. Meglio ancora, dal momento che il Corano, secondo la loro credenza, è “eterno”, vale a dire presente da tutta l’eternità presso Dio o in lui, indipendentemente dai casi della storia, deve essere considerato in principio come anteriore a ogni altra rivelazione dispensata da un uomo o consegnata in un libro; è dunque anteriore a Gesù e alla testimonianza biblica. I cristiani, evidentemente, contestano questa affermazione e fanno notare che, storicamente, la redazione del Corano non è solamente posteriore di diversi secoli a quella delle loro Scritture, ma che è oltretutto infarcita di passi presi a prestito da Maometto, non senza averli falsati.
Nondimeno la fede dei musulmani rimane lì, solidamente impiantata nei loro cuori e nel loro spirito. Così i cristiani, se prendono sul serio i loro interlocutori, non possono evitare di porsi una domanda in due fasi:
La redazione del Corano è solo il risultato dei numerosi prestiti presi dalle Scritture ebraiche e cristiane, combinati con dei dati presi a prestito alle religioni ancestrali della penisola arabica, e non è quindi che una sorta di pastiche di una rivelazione già esistente, oppure bisogna prenderla per una rivelazione degna di questo nome e quindi considerare l’islam una religione di origine “divina” tanto quanto il cristianesimo?
Se si prende alla lettera ciò che afferma l’islam, questo significa allora che la rivelazione cristiana potrebbe non essere l’ultima e che, dopo Cristo Gesù, Dio potrebbe volere un giorno suscitare altri Cristi per la salvezza del mondo?
In prima istanza, abbiamo voglia di riprendere la prima delle due risposte offerte dagli interlocutori musulmani durante l’incontro di cui si parla in testa all’articolo: Dio solo lo sa ed è a lui che bisognerebbe porre la domanda. Solamente che i cristiani non hanno sempre saputo attenersi a questo atteggiamento prudente e attendista, che testimonia di un reale rispetto non solo verso Dio stesso, ma anche verso chi professa altre religioni. Al contrario, hanno generalmente posto come assioma che la rivelazione in Gesù Cristo non può essere che la sola e l’ultima nella storia degli esseri umani.
L’atteggiamento dei primi cristianiNei primissimi tempi del cristianesimo, i cristiani pensavano che la storia sarebbe finita da un momento all’altro, che molto probabilmente, loro ancora viventi, questo mondo sarebbe scomparso. Si capisce che, in queste condizioni, abbiano potuto considerare la venuta del Cristo nella persona di Gesù, l’insieme del suo messaggio e della sua stessa vita come l’ultimissima rivelazione di Dio, come il suo ultimo intervento prima del giudizio finale.
In seguito, quando si è dovuto constatare il fatto di un ritardo sempre più evidente nel compimento di questa “parousia”, nondimeno la gente ha continuato a vivere nell’idea che il mondo di quaggiù non ne avrebbe effettivamente avuto per molto. Gli stessi riformatori, nel XVI secolo, avevano in generale la sensazione che la fine del mondo fosse imminente. Nell’insieme dunque, l’eventualità di una nuova rivelazione cristica non era da considerare. In ogni caso, i riformatori si sono ben guardati di lasciar intendere che il loro movimento potesse essere la conseguenza di una nuova rivelazione divina; non stavano fondando una nuova Chiesa né cercavano di promuovere una nuova religione. Al contrario, hanno insistito fortemente sul fatto che agivano in nome della sola e unica rivelazione di Dio in Gesù Cristo.
La lettura degli scritti biblici non poteva che confortarli, come del resto tutti i cristiani, in questa convinzione fondamentale. L’apostolo Paolo non proclamò dinanzi al Sinedrio che “in nessun altro è la salvezza” fuorché in Gesù Cristo e che “non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (Atti 4,12)?
Lo stesso Gesù, secondo la testimonianza di Luca (21,8), non ha ingiunto ai suoi discepoli di fare attenzione e non lasciarsi turbare “perché molti verranno in nome mio, dicendo: « Sono io »; e: « Il tempo è vicino ». Non andate dietro a loro”? E il libro dell’Apocalisse (22,18) non minaccia dei “flagelli” che vi sono descritti chiunque “aggiungerà” alle parole profetiche che vi sono registrate?
Nei primi secoli del cristianesimo i teologi e altri responsabili delle comunità sono arrivati a temere che alcuni si mettessero a dire altra cosa dagli insegnamenti più chiari dei vangeli e che lo facessero reclamando una “rivelazione” per lo meno uguale a quella di Gesù. Per premunirsene, questi sedicenti depositari e garanti della rivelazione divina (è tutt’ora la funzione che il dogma cattolico attribuisce ai vescovi nella loro qualità di “successori degli apostoli”) hanno avuto cura di circondarla preventivamente di mura e di parapetti dottrinali, il principale dei quali, nella prospettiva che ci interessa qui, è consistito precisamente nell’insistere sul carattere definitivo di tutto ciò che riguardava Cristo Gesù. È ancora e sempre il punto di vista che prevale nella maggior parte delle Chiese cristiane.
“Definitive”, queste rivelazioni?Maometto si è ispirato a questo precedente? Il fatto è che l’islam considera a sua volta definitiva la rivelazione del Corano che il suo profeta afferma di aver ricevuto da Dio, con la conseguenza particolarmente sintomatica che l’islam iraniano perseguita senza ritegno e senza accordare la minima circostanza attenuante gli emuli di Bahá’u’lláh (1817-1892), il profeta fondatore della religione bahá’í. Che sia sunnita o sciita, l’islam non può in effetti ammettere che i suoi adepti considerino questo profeta con il più recente dei messaggeri di Dio, in una linea le cui origini si perdono nella notte dei tempi e in cui si entrano, ai loro occhi, Abramo, Mosè, Buddha, Krishna, Zoroastro, Cristo e, giustamente, Maometto.
Secondo il sito Internet di questa religione “al cuore del messaggio di Bahá’u’lláh c’è la convinzione che l’umanità forma una sola razza e che è venuto il momento che essa si unisca in una società mondiale. Dio, afferma Bahá’u’lláh, ha messo in marcia delle forze storiche che, rovesciando le tradizionali barriere di razza, di classe, di fede e di nazionalità, daranno alla luce, a tempo debito, una civiltà universale.” Nello stesso modo dunque in cui Maometto presentava il suo messaggio come superamento e completamento di quello di Gesù, Bahá’u’lláh, nato nell’islam sciita, si è considerato beneficiario di una rivelazione che viene a completare, approfondire ed allargare le rivelazioni precedenti, e a superare le loro opposizioni in una prospettiva risolutamente universalista, che esclude ogni persecuzione religiosa. Quello che l’islam non può sopportare.
Talvolta alcuni cristiani si stupiscono dell’accanimento con il quale i musulmani se la prendono con i bahá’í. Ma loro sarebbero pronti a considerare Bahá’u’lláh, se non come un nuovo Cristo, almeno come un profeta che diffonde un messaggio venuto a sostituire quello di Cristo Gesù? La questione, inevitabilmente, si pone, tanto l’irenismo dei bahá’í, la loro apertura mentale, la loro preoccupazione per una vera spiritualità, il loro amore di Dio e del prossimo sono sotto numerosi aspetti vicini, se non vicinissimi a ciò che presuppone un cristianesimo correttamente compreso.
C’è da domandarsi se i bahá’í non siano, molto semplicemente, dei cristiani che ignorano di essere tali. Essi, normalmente, non lo pensano, ma questa vicinanza tra la loro religione e certi aspetti importanti del cristianesimo è di natura tale da ricordarci che, nell’VIII e IX secolo, importanti popolazioni cristiane dell’Africa del Nord e del vicino Oriente non hanno visto notevoli differenze tra la religione di Maometto e quella di Gesù, e hanno finito per passare all’islam (il caso delle popolazione alle quali l’islam è stato imposto sotto la minaccia della spada è evidentemente molto diverso).
Il problema molto concreto che Bahá’u’lláh ha posto e pone ancora all’islam, Emmanuel Swedenborg (1688-1772), con la sua rivelazione di un “nuovo cristianesimo”, l’ha posto al protestantesimo nato dal secolo dei Lumi. Uomo di scienza di ampiezza intellettuale poco comune, Swedenborg è stato gratificato nel 1743 di due “visioni” di Gesù Cristo che lo hanno investito, secondo lui, di una missione di “rivelatore” che gli ha “aperto gli occhi dello spirito”. Rinunciando da allora ai lavori che l’avevano reso celebre nei differenti campi della matematica, dell’astronomia, dell’idrostatica, del magnetismo terrestre, della polarizzazione della luce, fino al funzionamento del corpo umano, Swedenborg si consacrò interamente alla redazione di opere teologico-filosofiche che coronò nel 1771 con la pubblicazione della “Vera religione cristiana”, due volumi nei quali espose l’insieme della sua teologia.
Una delle idee centrali di Swedenborg riguarda l’interpretazione delle Scritture. Egli le considera “ispirate”, ma questo ai suoi occhi significa che bisogna saper distinguere tra il senso letterale e il senso “interno o spirituale”. Come ha osservato uno dei suoi commentatori, Swedenborg non fu, propriamente parlando, un mistico: nessuna traccia, in lui, di entusiasmo o esaltazione religiosa. È rimasto fino alla fine della sua vita uno scienziato ansioso di comprendere nel loro senso più esatto i testi della Bibbia, ma secondo una esegesi allegorica fondata su un metodo di “corrispondenze” che aprono la via, inevitabilmente, all’emergere di un “nuovo cristianesimo”.
Un’affermazione non sistema la questioneI più grandi spiriti dell’epoca, per esempio il filosofo Kant, si sono interessati alle idee di Swedenborg che, su molti punti, non differiva sensibilmente da ciò che si diceva nel circolo degli Aufklärer (Illuministi) tedeschi. Dei teologi protestanti si sono interessati a lui fino all’inizio del XX secolo, domandandosi tra l’altro se il suo approccio esegetico non avesse tutta la sua ragion d’essere.
Ma la maggior parte è inciampata sul fatto che Swedenborg diceva di aver ricevuto la sua missione da Cristo in persona, in una visione. Un sito francese di tendenza apparentemente evangelica, “info-sectes”, crede, di conseguenza, di poter condannare senza appello la Chiesa swedenborgiana affermando che “le nuove rivelazioni non sono più necessarie, la Scrittura è pienamente sufficiente“ e che “Gesù basta pienamente, la sua opera è completa e perfetta !” Come se bastasse fare delle affermazioni del genere per mettere fine alla discussione !
Ma non basta nemmeno che un Bahá’u’lláh o uno Swedenborg attribuiscano a se stessi la qualifica di profeta o di rivelatore della luce divina perché lo siano effettivamente. Se comprendo bene i vangeli, i discepoli di Gesù e i primi cristiani non l’hanno seguito perché aveva cominciato dicendo loro di essere il Figlio o l’inviato di Dio, ma l’hanno riconosciuto e sono giunti alla conclusione che lo era perché sono stati conquistati dal suo messaggio e l’influsso della sua persona.
Non abbiamo alcuna ragione di escludere l’eventualità che, nei millenni a venire, ammesso che la vita umana sul nostro pianeta abbia ancora dei millenni davanti a sé, come ne ha già molti alle spalle, Dio susciti o invii altri Cristi, quale che sarà il nome assegnato loro dai genitori. Ma ho tutte le ragioni di pensare che, se questo dovrà essere un giorno il caso, quei Cristi non si presenteranno, giustamente, proclamando ai quattro venti “Credete in me, io sono un profeta” o “Io sono il Cristo”. Saranno degli uomini o delle donne che, in tutta modestia, senza tamburi né trombe, ripeteranno per la gente dei loro tempi lo stesso vangelo di Gesù di Nazareth, conferendogli un nuovo vigore, una nuova attualità.
Malgrado tutto il rispetto che penso di avere per le convinzioni altrui, non posso considerare Maometto come il portatore di una nuova rivelazione divina perché il suo insegnamento differisce un po’ troppo da quello di Gesù e si colloca, a mio avviso, un po’ troppo indietro rispetto al suo. Quanto a Swedenborg, accompagna il messaggio evangelico con troppe considerazioni esoteriche per non mettermi in guardia di fronte a lui.
Invece posso vedere delle gradite ripercussioni della rivelazione cristica negli scritti di tanti autori che, alla loro maniera, approfondiscono il messaggio evangelico e mi aiutano a comprenderlo meglio, e quindi a viverlo meglio, che questi autori siano filosofi, teologi, saggisti, romanzieri, poeti, cineasti, gente di teatro, illustratori o musicisti.
Pour faire un don, suivez ce lien