Un albero sacro e tabuCi si interroga sovente sulla natura dell’Albero della conoscenza del bene e del male e sulla ragione per la quale è proibito mangiarne il frutto. Si può comprendere il suo ruolo e la sua funzione solo ricorrendo alle categorie arcaiche del sacro, del tabu e del mana. Quell’Albero è infatti un albero sacro e “tabu”. In tutte le civiltà antiche c’erano infatti dei luoghi, delle montagne, degli alberi che erano “tabu”. Per la mentalità arcaica, tutto ciò che è sacro è tabu. Trasgredire un tabu, anche senza averne coscienza, provoca una impurità, una macchia che può fare ammalare e persino morire. Dio infatti avverte Adamo ed Eva che moriranno se mangeranno il frutto dell’Albero (Genesi 2,17). Nel giudaismo antico, Dio all’inizio non era nient’altro che colui che prescriveva i tabu (la nozione di Dio, apparsa molto posteriormente a quelle di mana e di tabu, può essere considerata come un avatar di queste due nozioni. Il Dio del giudaismo è stato prima di tutto caratterizzato come “l’Onnipotente”, vale a dire come la personificazione del mana in sé, e attraverso questo, del tabu).
L’Albero della conoscenza può forse essere considerato un retaggio del totemismo delle religioni arcaiche. Infatti i totem possono essere degli animali, ma anche delle piante e degli alberi. I membri del gruppo che dipende da quel totem sono tenuti all’obbligo sacro – la cui violazione comporta automaticamente la punizione – di non uccidere o distruggere il loro totem, di astenersi dal mangiarne o di usarne in qualsiasi modo.
L’Albero della conoscenza è tabu perché il suo frutto possiede del mana, ovvero una potenza, un potere quasi magico e sovrannaturale. Il mana del frutto dell’Albero permette di acquisire delle capacità considerate “divine”. E tuttavia, pur essendo tabu, Adamo ed Eva si impossesseranno del frutto dell’Albero della conoscenza e del suo mana. Si suppone spesso che mangiando quel frutto essi scoprano la differenza tra “il bene e il male” e imparino che è “male” vivere nudi, senza nascondere gli organi sessuali. Ma, se fosse così, non si capisce perché sia proibito mangiare di quel frutto. Acquistare il senso del pudore e la distinzione tra il bene e il male non sembra infatti una colpa!
Ma mangiando il frutto dell’Albero tabu, Adamo ed Eva acquisteranno delle capacità possedute solamente dagli elohim (altrimenti chiamati gli dèi) e che avrebbero dovuto restare loro privilegio esclusivo.
Sorprende questa menzione degli elohim; essa mostra che il racconto biblico conserva delle tracce di politeismo di origine pre-giudaica. Ma il “monoteismo” giudaico continua a professare l’esistenza degli elohim.
Gli elohim (gli dèi) sono stati primariamente degli “spiriti”, vale a dire delle forze, esteriori e indipendenti dal mondo, che all’occasione si incarnavano in un oggetto, un fenomeno naturale, un essere vivente. Gli elohim sono degli esseri fatti di puro mana. Più tardi sono stati considerati degli angeli o degli dèi. Dopo l’apparizione del monoteismo giudaico questi elohim formano la corte di Yahvè, il Dio unico. In principio gli sono sottomessi ma conservano tuttavia una forma di autonomia.
Quindi, appropriandosi del mana del frutto dell’Albero tabu, Adamo ed Eva potranno diventare “come degli elohim” e acquisire ciò che li caratterizza: “la conoscenza del bene e del male”. Infatti, quando il Serpente istiga Adamo ed Eva a mangiare il frutto dell’Albero della conoscenza, dice loro “Il giorno in cui ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e voi diventerete come degli elohim che conoscono il bene e il male” (Genesi 3,4). In seguito, dopo che la coppia ha mangiato il frutto dell’Albero, “Dio, l’Eterno, dice: ecco, l’uomo è divenuto come uno di noi (ovvero come uno degli elohim) per quanto riguarda la conoscenza del bene e del male” (Genesi 3,20).
Allo stesso modo altri miti, tra cui alcuni che hanno potuto influenzare l’elaborazione del mito biblico, riportano che alcuni eroi leggendari hanno acquisito dei poteri riservati agli dèi. L’Epopea di Gilgamesh (il racconto sumerico che ha fortemente influenzato il racconto biblico) riporta per esempio che il suo eroe, Gilgamesh, ha voluto anche lui conquistare una delle prerogative degli dèi, l’immortalità.
Allora ci poniamo due domande: cosa significa “diventare come degli elohim” e cos’è questa “conoscenza del bene e del male” alla quale Adamo ed Eva possono accedere diventando “come degli elohim”?
La genealogia e la generazione dell’homo sapiens sapiensPer poter rispondere a queste domande bisogna prima di tutto dire una parola sul senso, l’obiettivo e cosa c’è in gioco nel mito di Adamo ed Eva.
Il racconti si compone di due momenti: quello in cui la coppia è nel Giardino di Eden e quello in cui vengono espulsi nel nostro mondo, a est di Eden. È in quel momento, e solo in quel momento, che diventano degli esseri umani veri e propri.
Il racconto biblico ha come obiettivo riferire come l’essere umano, con le sue proprie caratteristiche, è apparso su questa terra. Esso riporta, a modo suo, il processo generativo dell’homo sapiens sapiens, altrimenti detto l’uomo che ha la “conoscenza del bene e del male”. Descrive quel processo come una gestazione (paragonabile a quella di un “embrione” nel ventre della madre) che ha luogo nel “grembo” del Giardino di Eden, che può essere visto come il “grembo” di Dio stesso, il genitore di Adamo ed Eva. Infatti numerosi miti arcaici del Vicino Oriente antico descrivono la gestazione e l’evoluzione dell’uomo (o piuttosto del pre-uomo) prima che nascesse in questo mondo, e lo fanno trasportando all’inizio dei tempi l’idea che si erano fatta dell’evoluzione del bambino dal concepimento fino all’età adulta. (Su questo argomento si legga il libro di Daniel Arnaud, nella Enciclopedia delle religioni diretta da Frédéric Lenoir e Ysé Tardan-Masquelier, UTET).
Per la mentalità arcaica, prima dell’apparizione dell’uomo c’erano solo gli elohim (gli dèi) e gli animali. Infatti, all’inizio della loro “gestazione” nel Giardino di Eden, Adamo ed Eva non sono propriamente degli esseri umani: sono al tempo stesso “come degli elohim” e “come degli animali”. Hanno solo caratteristiche “divine” e “animali”. Beneficiano dell’Albero della vita (che può essere visto come un cordone ombelicale che li unisce al grembo di Dio) e per questo, proprio come gli elohim, godono di una vita immortale ed eterna. E proprio come gli animali con i quali Adamo ha dapprima vissuto in stretta intimità (Genesi 2,20), vivono nudi senza averne vergogna (Genesi 2,25). Invece in un primo tempo non possiedono l’attitudine a “conoscere il bene e il male”, che a differenza dell’immortalità è riservata esclusivamente agli elohim.
Ma in seguito si impadroniranno di quella prerogativa tabu che è loro proibita. Consumando il frutto dell’Albero della conoscenza e appropriandosi del suo mana, diverranno “come degli elohim per quanto riguarda la conoscenza del bene e del male”. Vedremo che questo implica non soltanto l’attitudine alla conoscenza e all’intelligenza, ma anche la coscienza della sessualità. Adamo ed Eva verranno allora espulsi dal Giardino di Eden; “nasceranno” nel nostro mondo, e alla loro “nascita” avranno l’attitudine alla “conoscenza del bene e del male”; in cambio, Dio ritirerà loro l’accesso all’Albero della vita e così cesseranno di beneficiare dell’immortalità. Inoltre, saranno puniti per aver mangiato il frutto dell’Albero tabu, e per questo conosceranno la sofferenza e diverranno mortali; l’uomo lavorerà la terra con il sudore della sua fronte, la donna partorirà con dolore, saranno insidiati dal Serpente e torneranno alla polvere (Genesi 3, 15-19).
Così il mito descrive bene il processo attraverso il quale l’uomo è diventato ciò che è, con le sue proprie caratteristiche: un essere che ha la capacità di conoscere il bene e il male (cosa che lo differenzia dagli animali e lo avvicina agli elohim) e un essere sottomesso alla sofferenza e alla morte (cosa che lo differenzia dagli elohim e lo avvicina agli animali). Così si potrebbe dire che gli esseri umani discendono al tempo stesso dagli elohim e dagli animali; coniugano certe caratteristiche degli uni e degli altri.
L’accesso di Adamo ed Eva alla conoscenza-del-bene-e-del-maleIl mito biblico riferisce quindi perché l’uomo possiede l’attitudine alla conoscenza, vale a dire all’intelligenza (cfr. Genesi 3,6) e alla chiaroveggenza (il Serpente dice ad Adamo ed Eva che i loro occhi “si apriranno”, Genesi 3,4).
Questa attitudine alla “conoscenza” è dunque uno dei poteri degli elohim, che può esercitarsi su tutto, detto altrimenti, per riprendere l’espressione biblica, su “il bene e il male”. Infatti nella lingua ebraica “il bene e il male” è un’espressione per caratterizzare “tutte le cose”, “tutto ciò che esiste”; ecco perché sarebbe meglio scrivere “il-bene-e-il-male”, per mostrare che la coppia formata da queste due parole caratterizza una totalità, la totalità di ciò che esiste. Così la “conoscenza del bene e del male” non ha a che vedere con il senso morale (vale a dire conoscere la differenza tra il bene e il male) ma è la capacità di conoscere “di tutto”. Precisiamo che in ebraico non esistono concetti puramente astratti; la nozione astratta di “totalità” è espressa da una coppia di parole concrete. In questo modo “il bene e il male” designa “tutto”; allo stesso modo “il cielo e la terra” in Genesi 1,1 designa “tutto l’universo” e “la carne e il sangue” designa la totalità della natura umana.
Quando Adamo ed Eva sono cacciati dal Giardino di Eden, vengono privati dell’Albero della vita che conferiva loro l’immortalità, ma non viene affatto detto che Dio ha negato la conoscenza del bene-e-del-male. Di fatto possiamo ben dire che gli uomini (gli homo sapiens sapiens) la posseggono. Certo, non hanno una conoscenza totale e infinita, non possono conoscere tutto; hanno la competenza e l’intelligenza per informarsi su tutto, giudicare di tutto e avere delle idee su tutto. Possono, in astratto, sposare la visione degli dèi e di Dio sull’insieme di ciò che è ed esiste. Attraverso il ragionamento e l’intuizione possono formare concetti e idee che rendono conto dell’infinito, dell’inconoscibile, dell’al di là e dell’assoluto.
Alla stregua del mito biblico, molti altri miti appartenenti alle culture greca, araba, azteca, indiana, cinese, riferiscono che gli uomini hanno il potere di accedere ai misteri divini e alla scienza degli dèi, e in questi miti l’acquisizione di quel potere si compie attraverso la consumazione di certi frutti, di droghe e di funghi allucinogeni. Così, per esempio, un mito azteco riporta che un fungo allucinogeno, del tutto paragonabile al nostro Albero della conoscenza, permette agli uomini di acquisire una conoscenza soprannaturale; anch’esso è tabu e sorvegliato da un serpente.
La cosa fondamentale è che, per acquisire questa conoscenza, Adamo ed Eva trasgrediscono il tabu che pesava sull’Albero della conoscenza. Essi trafugano il potere degli elohim; se ne impadroniscono con una sorta di rapimento e di usurpazione. E il racconto canonico mostra chiaramente che Dio avrebbe voluto tenere per sé solo quel potere, e punirà Adamo ed Eva per quello che vede come un misfatto che contravviene al suo ordine. Tuttavia non sembra avere voluto o potuto opporsi.
Infatti il mito ha come obiettivo principale lo spiegare perché, in questo mondo, gli uomini soffrono e muoiono, e lo fa riferendo che sono stati puniti per essersi impadroniti di un potere riservato agli elohim. Così ottiene un doppio scopo: spiega perché l’uomo è in preda al male e all’infelicità e perché ha la “conoscenza del bene-e-del-male” che lo differenzia dagli animali.
L’iniziazione di Adamo ed Eva alla sessualitàIl mana del frutto dell’Albero della conoscenza ha un ulteriore potere, del tutto diverso: suscita nella prima coppia la scoperta della vita sessuale. Fino ad allora non ne avevano, o, come gli animali, la esercitavano in maniera puramente istintiva, senza averne coscienza, in altre parole senza averne la “conoscenza”.
Infatti, all’inizio del racconto, Adamo ed Eva vivono nudi senza averne vergogna (Genesi 2,25). Invece, dopo aver mangiato il frutto dell’Albero, nascondono i loro organi sessuali (Genesi 3,7). Hanno scoperto il pudore che distingue gli uomini dagli animali; hanno acquisito la “conoscenza” della sessualità, il gusto e il desiderio della gioia che essa procura, e anche la coscienza che permette di generare una prole. E di fatto queste sono caratteristiche specifiche dell’essere umano.
Il frutto dell’Albero può essere paragonato a una mandragola che suscita il desiderio sessuale. La donna la dà all’uomo per favorire la loro unione sessuale e la loro capacità di procreare. Il racconto biblico riferisce che Eva, dopo aver colto il frutto, ne mangia, poi lo dà ad Adamo che ne mangia a sua volta (Genesi 3,6). Altri passi della Bibbia ci dicono che la donna dona un frutto al suo sposo prima delle nozze. Così Rachele (Genesi 30,14-16), la moglie preferita di Giacobbe, che era ancora senza figli, mangia delle mandragole, chiamate anche “mele dell’amore”. La ragazza del Cantico dei Cantici (Cantico 7,14) canta anche lei le virtù della mandragola. E come nel nostro racconto, è sempre la donna che la consuma per prima e poi la dona al suo compagno. Le mitologie greca e babilonese, come anche il folklore dell’antico Egitto, tra gli altri, conoscono il tema dell’albero il cui frutto rende la donna atta alla sessualità e alla fecondità. Un bassorilievo che risale al 1340 avanti Cristo mostra una regina egiziana che offre delle mandragole al suo sposo. Facciamo qui notare che nella mitologia greca, la mela e la mandragola hanno già una connotazione sessuale. Dioniso offre una mela ad Afrodite, Gea ne dona una ad Era come simbolo di fecondità. Ad Atene le giovani spose dividevano tra loro una mela prima di entrare nella camera nuziale (cfr. Georges Minois, les origines du mal, une histoire du péché originel, Fayard 2002, p. 19).
Del resto, il racconto biblico è stato redatto sotto l’influenza dell’Epopea di Gilgamesh, che riferisce, tra le altre cose, l’iniziazione di Enkidu alle gioie del sesso tramite una cortigiana-sacerdotessa.
Così, mangiando il frutto dell’Albero della conoscenza, Adamo ed Eva acquisiscono non solo l’attitudine alla conoscenza del bene e del male, ma anche la conoscenza della vita sessuale e la coscienza di poter generare. Ecco perché Adamo proclama che Eva diverrà “la madre di tutti i viventi” (Genesi 3,20).
Così l’espressione “conoscenza del bene e del male”, oltre al primo senso che le abbiamo dato (la capacità di conoscere di “tutto”), caratterizza anche molto verosimilmente l’attitudine alla vita sessuale e la conoscenza sia della gioia (il bene) che procura sia del pudore o della vergogna (il male) che suscita. D’altronde “conoscere” in ebraico può significare l’atto sessuale. L’espressione “conoscenza del bene e del male” appare in altri due passaggi della Bibbia ed è significativo che coloro che non hanno “la conoscenza del bene e del male” sono i bambini (Deuteronomio 1,39) e gli anziani (2 Samuele 19,34-35) che non hanno attività sessuale.
Perché viene proibito l’accesso di Adamo ed Eva alla sessualità?Il mito biblico riferisce dunque la “scoperta”, vale a dire la presa di coscienza, della sessualità da parte di Adamo ed Eva. Ma perché questo viene presentato come la trasgressione di un tabu voluto da Dio? Perché Dio condanna questa “conoscenza” della sessualità? Faremo qualche osservazione a proposito.
In ogni tempo ciò che riguarda la sessualità è stato visto come tabu; essa infatti permette la generazione e per questo appartiene al dominio del sacro, e quindi del tabu. Per la mentalità arcaica essa è anche una porta per la conoscenza del mondo del sacro e degli dèi. Infine e soprattutto, viene vista come il privilegio degli dèi. Nelle religioni arcaiche, gli dèi hanno un’attività sessuale e procreativa, grazie alla quale possono in particolare creare il mondo (attraverso l’accoppiamento, la masturbazione, l’inseminazione…). Inoltre, gli spiriti (gli elohim) sono gli agenti della potenza sessuale e del potere di generare. Nell’Antichità greco-romana gli dèi si accoppiano e hanno una progenie, in particolare quella dei Titani, figli di Urano e di Gea. E nel libro del Genesi, “i figli degli dèi”, che si possono considerare degli elohim, prendono come mogli le figlie degli uomini e danno così origine ai “giganti” e agli “eroi” (Genesi 6,1-5). Infine, lo stesso Dio biblico, anche se evidentemente non ha alcuna vita sessuale, ha tuttavia un potere generativo: può, per esempio rendere feconde le persone anziane e le donne sterili.
In questo modo, “scoprendo” la sessualità e il potere di generare, Adamo ed Eva hanno acquisito una capacità che fino ad allora era propria degli elohim, di cui Dio stesso voleva conservare il privilegio.
D’altronde, quando Dio, l’Eterno dice: “Ecco, l’uomo è divenuto come uno di noi (vale a dire come uno degli elohim) per quanto riguarda la conoscenza del bene e del male” (Genesi 3,22), fa questa constatazione appena dopo aver dato loro delle tuniche di pelle perché non restino nudi (Genesi 3,21); e questo sembra mostrare che considera Adamo ed Eva, divenuti come degli elohim, in possesso non solamente della conoscenza del bene-e-del-male, ma anche dell’attitudine alla sessualità e alla procreazione.
I temi della sessualità, della generazione e del parto sono del resto ben presenti nella pena che Dio infligge alla coppia, come se dovesse essere punita sul punto stesso in cui hanno “peccato”; Dio li punisce non solo cacciandoli dal Giardino di Eden ma anche dando alla vita sessuale una componente violenta e conflittuale (accostando desiderio e dominio, cfr. Genesi 3,16) e aumentando la sofferenza della donna durante il parto (Genesi 3,16).
Del resto, in seguito, Dio sembra conservare o voler conservare per sé solo il potere di generare anche se gli esseri umani se ne sono impadroniti. Nel racconto di Caino e Abele (Genesi 4), che segue immediatamente il nostro mito, Eva esclama, alla nascita di Caino “Ho acquistato un uomo con l’aiuto del Signore” (Genesi 4,1); del ruolo di Adamo non si fa cenno! E in seguito sarà Dio stesso che darà ad Abramo, Sara, Rebecca, Rachele, e anche a Maria, la madre di Gesù, il potere di generare.
Dio attende che Abramo e Sara siano divenuti molto anziani prima di concedere loro un figlio, perché questa nascita sia attribuita alla sua sola potenza. Inoltre se la prende con Giacobbe e Mosè menomandoli fisicamente, così sembra, nel loro potere sessuale e generativo (Genesi 32,24-32, Esodo 4,22-26). Aggiungiamo ancora che la circoncisione può essere vista come una castrazione simbolica dell’uomo destinata a mostrare che Dio conserva il privilegio di generare. Infine, possiamo vedere il rituale del sacrificio dei primogeniti come il pagamento da parte degli uomini di un debito verso gli dèi per aver acquisito il potere di generare. Così sembra che, pur non essendosi Dio opposto alla conquista della sessualità e del potere di dare la vita, è rimasto geloso, almeno per un certo tempo, di quello che considerava un suo privilegio esclusivo.
Il mito biblico come lo leggiamo nelle nostre bibbie costituisce la ricomposizione edulcorata e l’ultimo stadio, redatto nel VI secolo avanti Cristo, di un racconto mitico molto anteriore, pre-giudaico, che raccontava senza dubbio che gli uomini hanno conquistato la sessualità e il potere di generare rubandoli agli elohim. Possiamo immaginare che, secondo questo mito arcaico, vi era all’origine una coppia, uomo e donna, che non aveva vita sessuale. Gli dèi, gelosi delle loro prerogative, volevano conservare per sé il segreto della sessualità e soprattutto della procreazione. Proibirono così alla prima coppia l’albero il cui frutto poteva suscitare l’attitudine sessuale. Ma uno degli dèi, il Serpente, venne in aiuto agli uomini e fece loro conoscere la virtù segreta di quel frutto; con la sua complicità, la coppia si impadronì del frutto proibito. Capace di procreare, la coppia umana divenne uguale agli dèi. Costoro si vendicarono escludendo l’uomo e la donna dal paradiso.
La sessualità appare non solo una conquista, ma anche una maledizione, perché è stata acquisita a seguito della trasgressione di un tabu. Viene presentata come una delle conseguenze della “caduta” di Adamo ed Eva dal Giardino di Eden. D’altronde, come abbiamo detto, il mito biblico presenta la sessualità con dei tratti negativi (“I tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te” Genesi 3,16).
Un’ultima notazione. Il racconto canonico delle nostre bibbie riferisce da una parte l’accesso di Adamo ed Eva alla conoscenza del bene-e-del-male, e dall’altra la loro scoperta della sessualità. Anche se la stessa espressione “la conoscenza del bene e del male” caratterizza ambedue le conquiste, sembra che il mito biblico amalgami due temi differenti e suturi alla bell’e meglio due racconti che hanno origini diverse.
Noi faremo un’ipotesi. Nel suo strato più antico il mito ripercorreva, senza dubbio alla stregua della saga di Enkidu, l’iniziazione di Adamo ed Eva alla sessualità. E proprio come in quella saga, l’iniziazione permette alla coppia di divenire “come degli dèi”. Poi, in un secondo tempo, l’iniziazione alla sessualità è stata parzialmente occultata. Nel testo canonico, il gesto di cogliere il frutto dell’Albero è prima di tutto un’offesa di fronte alla potenza di Dio. Ma anche nel racconto biblico canonico tardivo restano delle tracce dell’iniziazione di Adamo ed Eva alla sessualità.
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