Nelle lingue bibliche, la ruah o lo pneuma designa il vento, il soffio, che i traduttori italiani rendono con “spirito”. Questo mi parla del vento che mi permette di raggiungere un qualcosa al di là di me stesso. Rapportato al divino, mi parla di tutte quelle volte in cui scopro ciò che fino ad allora avevo ignorato, ciò che i miei sensi non mi permettevano di avvicinare e che tuttavia mi riguarda in maniera assoluta. Alla stregua dello spirito divino che aleggia sulla superficie delle acque (Genesi 1,2) e fa intravedere la terra in cui è possibile vivere, lo spirito mi rivela una nuova terra abitabile o, più esattamente, un nuovo modo di abitare la terra, e dei nuovi esseri che rinnoveranno la mia vita rinnovando la mia comprensione della vita.
Io non concepisco lo Spirito Santo come un flusso di pensieri, un’energia o qualche cosa che agisce, ma come un modo di designare tutti quei momenti in cui prendo coscienza che vi è più da pensare, più da sperare, più da vivere di quanto immaginassi. Un testo inizia ad avere senso per me. Un incontro mi apre a considerazioni diverse dai miei argomenti prediletti. Non sono più rinchiuso nel mio settarismo ma accedo a una dimensione più universale dell’esistenza. Seguendo il vocabolario teologico, chiamo questo la testimonianza interiore dello Spirito Santo. Non che sia intervenuto uno spirito superiore, ma piuttosto mi sono aperto a una verità più grande per le vie traverse dell’incontro con un testo, una persona, una situazione. Parlare della potenza dello spirito vuol dire riconoscere la realtà del mio muovermi in un dato momento. Questo allargamento del mio orizzonte mi offre più scelta, più possibilità di essere, posso dirlo anche con le parole dell’apostolo Paolo: “ Dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà” (2 Corinzi 3,17).
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