Il cristiano, qualunque sia la sua confessione, deve conservare nella mente, mi sembra, una certezza: quella di essere chiamato alla vita, alla morte per la Vita. Se depenniamo quest’ultima parola, la vecchiaia non è altro che una decadenza ineluttabile. Infatti, mentre avanza la vecchiaia, molto spesso si fa progressivamente strada l’indifferenza di fronte alle cose di questo mondo; le passioni stingono; poco a poco si fa strada l’apatia.
Certamente vi sono, grazie a Dio, delle vecchiaie che sono “riuscite” perché ci si è preparati a viverle, ma non è certo sempre così. C’è la grazia dell’appello a vivere e morire con Cristo (Matteo 25,34) e questo senza discriminazioni settarie (Luca 23,43). Scrive san Giovanni della Croce: “Alla fine saremo giudicati sull’amore”.
Tuttavia ogni morte è violenta, qualunque ne sia l’apparenza, anzi, è l’ultima e la più forte delle violenze; ma paradossalmente è, al tempo stesso, un atto vitale, poiché apre alla Vita. L’ultima, poiché la vecchiaia non è che un susseguirsi di violenze: la violenza delle malattie; il declino delle forze; la violenza sociale, che va dal pensionamento forzato ai ruoli secondari; le violenze psichiche: la memoria vacillante, la perdita di interessi, la sensazione di essere inutili, un peso per gli altri compresa la famiglia. Questa violenza può essere sottile come un veleno a effetto ritardato. Lo ha fatto notare tra gli altri Luis Schöckel: l’anziano si sente colpevole perché lo colpevolizziamo; colpevole delle sue malattie perché usa ancora la sua vita; colpevole della sua debolezza perché esaurisce le sue forze; colpevole delle sue strane deviazioni, poiché diventa irritabile; colpevole anche dell’oblio che deve subire perché non è più necessario. Se vivere è un diritto (?), vivere molto a lungo è così considerato talvolta come una sorta di delitto che riceve la punizione che merita.
D’altro canto la vecchiaia avanzata non esclude certi desideri, come quello di essere un esempio salutare per chi ci sta intorno; questo comportamento, che irrita o fa sorridere, si appoggia sulla certezza di avere accumulato, nel corso di una lunga esistenza, sapere, esperienze, una conoscenza degli uomini e delle donne che autorizza a impartire lezioni. Il “vecchio” non riesce ad aspettare che gli si domandi il suo parere o un consiglio, forse perché sa anche troppo bene che questo non accadrà. Inoltre, talvolta diviene un critico temibile del tempo in cui vive, con la sua litania specifica o generale: “Ai miei tempi… Una volta… Mai mio padre… etc.” Questo non viene accolto bene, soprattutto se diventa ripetitivo.
Ma ci sono anche, in compenso, dei raggi di sole e delle gioie profonde quando la vecchiaia ha la fortuna di essere passata in compagnia, in particolare di nipoti e pronipoti. Allora tutto cambia: ecco che si domanda il suo parere e gli si fanno delle confidenze. Si esprimono pensieri e gioie, si ride, si gioca, si legge insieme, e questo può durare a lungo, fino al periodo delicato dell’adolescenza e oltre.
Ci si può preparare molto in anticipo alla vecchiaia e alla morte. Per un cristiano la vita è la preparazione all’incontro per eccellenza (Salmo 17,15), un incontro non solamente con Cristo, ma con tutti coloro che ci hanno amati e che noi abbiamo amato. Questo atteggiamento è un fatto di grazia, di fede, di gloria di Dio; non può essere espresso con una equazione.
Ma c’è di più. Le persone molto anziane, come ho detto, soffrono talvolta per il fatto di sentirsi inutili: il tempo che scorre monotono, se non corrono ai ripari, li fa sprofondare in un disfattismo mortifero e irreversibile. Tuttavia hanno la possibilità e la grazia di poter vivere intensamente la “comunione dei santi” attraverso la preghiera di intercessione e la ricerca continua della presenza di Dio. Una frequentazione regolare delle Scritture, in particolare del libro dei Salmi, se la vita lo permette ancora, sarà un aiuto prezioso. E poi non bisogna disdegnare la preghiera spontanea: al contrario, è una necessità. Le persona anziane dormono normalmente poco e la notte è particolarmente propizia a quella che io chiamo “la preghiera sul mondo”.
La notte è sorella del silenzio, indispensabile alla ricezione della Parola di Dio. Ricordarsi che, nel momento in cui io prego, è notte fonda; al tempo stesso, molto lontano, è già l’aurora o giorno fatto; uomini e donne lavorano, soffrono, amano; dei bambini vengono al mondo; delle vite scompaiono; vengono celebrati dei culti; uomini e donne pregano… E quindi la mia preghiera sul mondo non è per nulla quella di un solitario: è anche preghiera con il mondo. Inoltre, essa dona senso alla vita della persona anziana che si incammina verso la sua morte.
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