Di André Gounelle
Traduzione di Giacomo Tessaro
Tratto dal Blog della redazione, 15 giugno 2015
Trovo invadente lo sport inteso come spettacolo. Quando si gioca una finale di rugby o di calcio, prima e dopo la partita la TV e la radio trasmettono un sacco di interviste di tifosi (assolutamente incompetenti, ma che fanno atmosfera) e propinano lunghi commenti che eclissano gli altri argomenti. Le corse ciclistiche, i tornei di tennis e le gare automobilistiche beneficiano di uno spazio sproporzionato nei media. Ecco quindi che questi spettacoli sportivi penetrano nella politica, con un primo ministro che scappa per assistere a uno di essi o le partite a cui i ministri devono assistere perché conta di più, per la loro immagine, della competenza e del lavoro. Tale infatuazione è certo aneddotica, ed esistono distrazioni molto meno innocenti; non prendete troppo sul serio la mia irritazione. Tuttavia non sono tranquillo: non sarà tutto questo indice di una superficialità che non sa distinguere le cose secondarie da quelle importanti? Un segno della parola che si degrada in chiacchiericcio, di fronte a microfoni e telecamere o in circoli chiusi che non sanno comunicare? Abbiamo il diritto, e forse anche il dovere, di divertirci. È questione di equilibrio. Il divertimento però, per quanto legittimo, non deve assorbire tutto. Quando il divertimento, anche perfettamente onorevole, diviene centrale e l’immagine, anche utile e inevitabile, si sostituisce alla realtà, lì si annida il pericolo.
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