Di Rivon Krygier
Rabbino dal 1991 della comunità massorti Adath Shalom di Parigi, Rivon Krygier consacra buona parte delle sue ricerche e pubblicazioni alle questioni etiche e teologiche, al dialogo interreligioso e alla lettura ebraica del Nuovo Testamento.
Traduzione di Giacomo Tessaro
La libertà di culto e di religione è un diritto fondamentale degli Stati moderni, che a sua volta dà diritto al rispetto. Certi discorsi, certe proposte, certi progetti antireligiosi sfiorano talvolta l’istigazione al disprezzo e all’odio. Sono un ebreo attaccato alla mia tradizione e non accetto, per esempio, che si imbratti deliberatamente un Sefer Torah, nemmeno disegnato. Se mi sento disprezzato, ho il diritto di protestare; ma non per questo ho il diritto di esigere che il grande pubblico rispetti “religiosamente” la mia religione, di cui non condivide né le convinzioni, né i codici, né le proibizioni. Se bestemmiare è una mancanza di rispetto, cosa dire della critica caustica alla religione veicolata da certe barzellette o certe vignette, che spesso denunciano la mancanza di rispetto verso le persone o i valori fondamentali che le religioni stesse mettono in atto? Considerare ogni critica, anche di cattivo gusto, una “bestemmia”, vuol dire cadere nella paranoia: si scambiano le proprie credenze per certezze universali, si evidenzia ogni incidente e si vede la pagliuzza nell’occhio del fratello senza accorgersi della trave nel proprio (mi permetto di citare i vangeli!). Ci si sente oltraggiati all’estremo e si diventa la caricatura di ciò che per cui si era stati criticati.
Il popolo ebreo si è abituato ad assorbire la critica alla religione attraverso l’umorismo. Una barzelletta popolare racconta come, a suo figlio giovinetto a cui hanno insegnato la trinità cristiana, un padre ebreo replichi con determinazione: “Ti ho già insegnato tre cose: che c’è un solo Dio; che non esiste; che noi siamo il suo popolo!”. Una barzelletta non certo tenera verso i cristiani, che però si fa beffe prima di tutto del giudaismo, di tutta l’ambiguità in cui si impegolano non pochi ebrei quando devono rendere ragione dei loro vincoli religiosi e identitari, che non sono cosa semplice. Ridere di se stessi sdrammatizza e disinnesca la violenza e le devianze. Qui non ci stiamo chiedendo chi sia l’empio o il profanatore ma chi sia la persona religiosa, quella da cui ci aspettiamo, malgrado tutte le debolezze umane, che insegni e applichi i valori di giustizia e umanità della sua religione. Scriveva il rabbino Abraham Isaac Kook (inizio del XX secolo): “L’ateismo ha una sua legittimità, è necessario per purgare la fede delle aberrazioni che la inficiano. Questa è la vera ragione della sua esistenza. Gli autentici giusti non levano i loro lamenti contro l’iniquità ma instaurano la giustizia; non levano i loro lamenti contro l’eresia ma confortano la fede; non levano i loro lamenti contro l’ignoranza ma propagano la saggezza”.
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